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L’opera condivisa “Amnios- Rivelare Ri-velando” è una delle testimonianze artistiche di umanizzazione nate dalla collaborazione avviata fra l’Azienda ospedaliero-universitaria “Maggiore della Carità” di Novara e l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano nell’ambito del percorso formativo realizzato dalla dott.ssa Silvia Beltrami, psicologa della struttura “Psicologia clinica”, diretta dalla dottoressa Daniela Cella.

L’opera scaturisce da un’esperienza di stage di laboratorio di terapeutica artistica attivato da Chiara Scarano, specializzanda in teoria e pratica della Terapeutica artistica – Accademia delle Belle Arti di Brera – Milano, e supervisionato dal tutor aziendale dott.ssa Silvia Beltrami, in via sperimentale nella scorsa primavera-estate presso la S.C.D.U. Ostetricia e ginecologia grazie alla sensibilità per l’umanizzazione del servizio del direttore dott. Alberto De Pedrini e delle coordinatrici dott.sse Maccagnola e Rinaldi.

Il progetto è stato coordinato dalle professoresse Tiziana Tacconi ed Elena Molinari  (Teoria e Pratica della terapeutica artistica – Accademia delle Belle Arti di Brera – Milano).

Teoria e Pratica della Terapeutica Artistica, Accademia di Belle Arti Brera, Milano

Il biennio specialistico in teoria e pratica della terapeutica artistica nasce a Milano nell’accademia di Belle Arti di Brera nell’anno accademico 2004-2005.

Si tratta di un percorso formativo innovativo che intende preparare artisti terapisti ad operare in ambito sanitario, sociale ed educativo con gli strumenti propri.

A partire dai suoi esordi la terapeutica artistica opera in reparti ospedalieri, associazioni, centri psico-sociali, scuole, carceri e quindi gli attori di questo fare artistico condiviso hanno provenienze, età e caratteristiche estremamente eterogenee e proprio come le voci di un coro caratterizzate da tante tonalità e colori trovano una possibilità partecipativa nell’opera condivisa.

L’obiettivo dei percorsi di terapeutica artistica è sempre l’opera che si inserisce a pieno titolo nell’esperienza dell’arte contemporanea e che porta il nome di opera condivisa.

La terapeutica artistica è una disciplina che nasce da un incontro tra l’arte e una necessità che accomuna tutti gli uomini, il desiderio di stare bene. Per ottenere questo risultato sono fondamentali due elementi: primo fra tutti l’uomo e la riconnessione con le sue potenzialità creative e in secondo luogo la materia, declinata nei differenti materiali.

Lo scopo di un laboratorio di terapeutica artistica è quello di portare i partecipanti a una trasformazione: la materia che passa tra le mani di chi la manipola non sarà mai più come prima e chi la manipola, allo stesso modo, attraverso sensazioni e contatti nuovi ne risulterà arricchito e cambiato.

L’esperienza di terapeutica artistica in S.C.D.U. Ostetricia e Ginecologia ha coinvolto 40 donne che, ricoverate per periodi più o meno lunghi a causa di patologie della gravidanza, si sono avvicendate nella co-costruzione artistico-creativa e nella condivisione e compartecipazione di vissuti emotivi spesso di difficile gestione. Gli incontri settimanali hanno gradualmente concretizzato, nell’opera condivisa, la testimonianza di una relazione profonda vissuta con percezioni e sensazioni individuali ma capace di agire nelle corde dei sensi e della psiche di tutti noi.

Il titolo dell’opera, AMNIOS, fa riferimento alla membrana che insieme al Corion costituisce la sacca entro cui si sviluppa il feto. Essa custodisce il bambino e lo tiene unito alla mamma attraverso il cordone ombelicale, le cui similitudini simboliche si individuano nel materiale utilizzato nel laboratorio: il filo che si lega al velo.

La donna in gravidanza in attesa che il proprio figlio nasca e si sveli e ri-veli ai suoi occhi, impara a conoscere il proprio bambino attraverso i suoi movimenti. La relazione intima tra mamma e bambino è il filo invisibile che li terrà legati per tutta la vita rendendoli rispettivamente madre e figlio.

Nell’ambito dello svolgimento laboratoristico, a partire dalla presenza delle problematiche di salute riguardanti la donna e/o il futuro nascituro, attraverso il fare artistico si è sostenuto quel sentire relazionale che la gravidanza a rischio mette a dura prova.

Relazione appesa ad un filo… un filo che può essere rappresentato da un cordone ombelicale, da un ecografo, dall’andamento di un tracciato, dalla cannuccia di una flebo… un filo che spesso è solo un pensiero aggrovigliato che ha bisogno di essere disciolto.

Lo stesso filo è stato in grado di unire anche le mamme tra loro, attraverso lo scambio di emozioni, parole, sguardi ed esperienze.

Da queste riflessioni è scaturito un lavoro dalla forte valenza metaforica: tanti cerchi, forma archetipica legata alla gravidanza, che racchiudono i racconti che vanno via via svelandosi e ri-velandosi circa le relazioni tra le mamme e i loro bambini. Racconti nei quali il gesto portatore di ansia del prelievo sanguigno, dell’iniezione, dell’andamento, dell’esito della gravidanza si trasforma in un gesto creativo con l’ausilio di aghi e fili colorati. Il velo tessuto delicato, apparentemente debole, fragile e inadeguato, si è man mano arricchito con il ricamo e la ri-velazione, svelandosi inaspettatamente forte e resistente.

Al termine del laboratorio, come visibile nell’installazione finale che viene inaugurata oggi, ognuno dei lavori eseguiti singolarmente è stato unito agli altri, costituendo un’unica grande storia.